
Sarebbe potuta essere una presenza ingombrante, quella di un ristorante due stelle Michelin in un Comune della provincia senese con poco più di ventimila abitanti. Ma in realtà, all’ombra di Gaetano Trovato e del suo “Arnolfo” che dal 1999 si fregia del doppio macaron della “Rossa”, a Colle Val d’Elsa stanno fiorendo chef di talento, in grado di rendere la cittadina patria di Arnolfo Di Cambio una mèta gastronomica tra le più interessanti e vivaci del panorama non solo chiantigiano ma apprezzata a livello toscano e nazionale.

Se è vero che il ristorante di Gaetano Trovato resta in cima ai pensieri degli appassionati di alta cucina, lo è altrettanto che Colle val d’Elsa non è solo Arnolfo. Negli ultimi anni, ad alzare l’asticella complessiva dell’offerta gastronomica della zona sono stati nomi cresciuti col “mito” di Gaetano. Alcuni sono partiti da Colle per diventare pilastri della cucina fiorentina come Filippo Saporito e Ombretta Giovannini (La Leggenda dei Frati), ma altri sono rimasti sul territorio, per la gioia di residenti e turisti.

E’ il caso dello chef Jacopo Pereira e dell’imprenditore Pietro Sammicheli (insieme nella foto in alto) – classe ’86 il primo, addirittura ’91 il secondo – che dal 2015 hanno preso in mano le redini del Frantoio Restaurant, storico ristorante in via del Castello, trasformandolo gradualmente da locale vocato alla cucina tradizionale del territorio a vero e proprio ristorante di fine dining, la cui attitudine alla ricercatezza ai fornelli non è sfuggita ai radar delle principali guide, a partire dalla Michelin.

Situato nel centro storico del paese, il Frantoio Restaurant offre due menù degustazione – uno con cinque piatti signature dello chef (55 euro), l’altro dal titolo “Sinfonie della terra” di sette portate (70 euro) – oltre a una carta con cinque opzioni per ogni partita, in un’atmosfera intima e legata a doppio filo al nome stesso della struttura. Il locale è ricavato all’interno di un antico frantoio sotterraneo, di cui è ancora ben visibile la macina, con una suddivisione degli spazi influenzata dalle architetture necessarie alla frangitura delle olive: ecco quindi alternarsi corridoi e salette, con pareti di mattoni grezzi.

Tra gli antipasti da non perdere, ce n’è uno che racchiude la filosofia di cucina di chef Jacopo Pereira, fatta di ispirazioni al passato del territorio e alla volontà di trovare vesti nuove a piatti consolidati: si tratta della sfera di fegatini di pollo con amarene e pistacchi, un’evoluzione di un classico paté di fegatini che strizza l’occhio allo stile francese, riducendo l’uso di capperi e acciughe a vantaggio di pan brioche e del burro, in un gioco di sapori in cui il pistacchio e le amarene candite contribuiscono senza eccedere la misura.

Ma il piatto forse più rappresentativo di Jacopo Pereira – nonché un autentico must, per chi visita il Frantoio Restaurant – è lo spaghetto Mancini affumicato al legno di faggio, con aglio nero, polvere di capperi e colatura di alici. Servito nell’apposita cloche per conservare l’affumicatura fino al momento dell’assaggio, il piatto ha un ingresso in bocca pieno, vagamente dolciastro grazie all’aglio. Poi subentrano i sentori di capperi e colatura d’alici, il tutto tenuto insieme dalle note del faggio che restano una piacevole costante di fondo. Un piatto di gran personalità. Ma il talento di Jacopo Pereira si esprime anche in primi rustici ed eleganti al tempo stesso come il tortello di galletto con salsa di cime di rapa e spuma di pecorino di fossa.

I secondi di chef Jacopo Pereira non possono prescindere dal piccione (siamo sempre nella regione di Gaetano Trovato e di Laura Peri, in fondo) che propone accompagnato da una crema di cavolo viola, lamponi – per conferire una parte acida – e cialda di granella di nocciole. Come da manuale, il petto è servito al sangue e le interiora fungono da ripieno per il lollipop.

Non meno interessante è un altro secondo dal menù del Frantoio Restaurant, lo scamone d’agnello cotto a bassa temperatura con asparagi e salsa olandese al timo: particolarmente felice la cottura della carne, mentre l’uso di una salsa lontana dal mainstream dà un tocco in più all’intera preparazione. Alternativa di mare, il filetto di baccalà accompagnato da fagioli zolfini del Mugello e purea di taccole.

Ci sono un paio di elementi ricorrenti, nella cucina di Jacopo Pereira: da un lato l’uso ricorrente della frutta – dal mango nell’antipasto di gambero di Mazara con barbabietole e arachidi (in alto) fino alla polvere di limone nel tagliolino di grano saraceno, ragù di pecora e patate rosse – e dall’altro tocchi di cucina giapponese, frutto di esperienze maturate (seppur in momenti diversi) da Jacopo e Pietro. Ecco quindi la maionese di miso nell’antipasto con sedano rapa, mela verde e gel di carota, oppure il sashimi di ricciola nipponica Hamachi nel risotto alle ortiche e olive taggiasche.